BIOMARKERS SUMMIT IN BREAST CANCER: ESCALATING AND DE-ESCALATING TREATMENT
Pubblicata: 28-02-2021
Il 23 febbraio si è svolto un interessantissimo webinair, organizzato dall’IRST, l’Istituto di Meldola (FC) per la cura dei Tumori della Romagna, avente come argomento la possibilità di utilizzare farmaci meno tossici nell’ambito delle terapie oncologiche per le varie tipologie di tumori della mammella, anche quando diventano metastatici, ovvero quello stadio per il quale non vi è ancora una cura definitiva. In ogni caso clinico, lo scopo comune a tutti gli studi presentati, è quello di poter prescrivere i trattamenti finalizzati a garantire la migliore efficacia possibile delle cure.
Dopo il saluto iniziale del prof. Giovanni Martinelli, Direttore Scientifico dell’Istituto e del Dott. Ugo De Giorgi, responsabile del gruppo di patologia della mammella e dei tumori uro-ginecologici, sono iniziate le chiarissime presentazioni da parte di medici e ricercatori internazionali.
In alcuni degli studi clinici illustrati, i ricercatori hanno avuto la possibilità di modificare l’approccio terapeutico fin dal tumore primitivo.
Per il tumore HER2 positivo, uno studio ha dimostrato che il nuovo farmaco non faceva rilevare differenze di risultato in termini di efficacia, per i pazienti ai quali veniva prescritto il T-DM1, mentre l’utilizzo dei farmaci tradizionali Paclitaxel e il Trastuzumab comportava una maggiore tossicità.
Gli studi clinici in corso sono quindi finalizzati ad identificare le terapie per massimizzare i risultati e ridurre la tossicità causate dai chemioterapici.
Un aiuto per arrivare a sostituire i farmaci chemioterapici con quelli mirati è di continuare a sviluppare terapie biologiche più efficaci.
Tuttavia, allo stato attuale, non si conoscono ancora i metodi ottimali per selezionare i pazienti con le caratteristiche adatte ad un approccio farmacologico meno tossico.
Lo stadio del tumore, il grado, i recettori ormonali, l’essere in menopausa o meno (per le pazienti) e le caratteristiche genomiche sono i più importanti biomarkers convalidati nel tumore primitivo luminale della mammella.
L’utilizzo di test genetici, quali Mammaprint o OncotypeDx, è stato fondamentale per selezionare i pazienti adatti alla somministrazione di farmaci anziché altri. Per esempio si è potuto evitare la prescrizione delle Antracicline, la chemio “rossa”, per chi rientrava nelle preidentificate categorie.
Un altro interessante studio ha posto l’attenzione sull’impiego degli inibitori delle CDK4/6 quali terapia adiuvante nel tumore primitivo.
Sono stati confrontati i risultati emersi tra i due gruppi, quello che assumeva gli inibitori CDK4/6 unitamente al farmaco endocrino e quello che invece assumeva il solo farmaco endocrino, e, le conclusioni alle quali si è giunti, potevano sembrare determinate dalla diversa molecola dell’inibitore somministrato nello studio, Palbociclib, Ribociclib o Abemaciclib, mentre potrebbe essere necessario rivolgere l’attenzione alla selezione dei pazienti che hanno partecipato, operando la scelta mediante l’utilizzo di biomarcatori.
Un ulteriore importante aspetto da porre in evidenza è che i biomarcatori non restano stabili, ma si modificano con le terapie.
Sempre con l’impegno di utilizzare farmaci meno tossici, è stata poi fatta una presentazione di nuovi farmaci destinati alle cure nel caso di tumore metastatico della mammella, distinti in base ai diversi istotipi.
Gli studi esposti hanno presentato risultati interessanti sia nel caso di HER2+, TNBC e HR positivi.
Uno studio ancora in corso e che lascia già intravedere buoni risultati per definire quale sia la migliore sequenza farmacologica, riguarda la somministrazione dell’Apelisib, un farmaco utilizzato unitamente alla terapia endocrina, per il carcinoma mammario avanzato o metastatico HR positivo, HER2 negativo per i pazienti con mutazione genetica PIK3A, anche successivamente all’assunzione degli altri inibitori delle cicline.
Queste nuove classi di farmaci, oltre ad essere un valido aiuto per i pazienti per contrastare gli effetti collaterali dei chemioterapici, possono pure prevenire e migliorare i risultati di risposta alla malattia, per esempio anche nel caso di metastasi encefaliche, infondendo speranza a chi si trova ad affrontare questo difficile percorso.
Infine, l’ultimo tema affrontato riguardava la biopsia liquida, un interessante argomento che merita sempre più attenzione. Le prime ricerche in questo ambito sono iniziate 16 anni fa ed ora si è in grado di capire, con l’enumerazione delle cellule tumorali circolanti, lo stadio del tumore metatastico della mammella. È doveroso sottolineare che la biopsia liquida è un supporto maggiormente pronostico nel caso di tumore metastatico che non in un stadio iniziare, offrendo al contempo un attendibile monitoraggio che, grazie alla tempestività, consente una migliore risposta ai trattamenti.
L’utilizzo della biopsia liquida fornisce una chiave di lettura più completa dei risultati che emergono dai singoli studi, aiutando a meglio interpretare le caratteristiche del DNA delle cellule tumorali e rilevando anche le eventuali resistenze in caso di tumore metastatico della mammella, una patologia complessa anche a causa della eterogeneità molecolare.
Silvia Alberoni.